Morti sul Monte Bianco, aperta un'inchiesta
22 Gennaio 2009
Il tribunale francese di Bonneville - in Alta Savoia - ha aperto un’inchiesta sulla morte dei quattro alpinisti torinesi avvenuta sabato notte sotto l’Aiguille du Midi, sul massiccio del Monte Bianco. I magistrati francesi sperano di scoprire le cause che hanno provocato la caduta dei quattro amici per oltre mille metri
lungo la parete che sovrasta il ghiacciaio des Bossons. La dinamica della tragedia è ancora molto incerta. Secondo le prime ipotesi sarebbero morti per il cedimento del tratto di ghiaccio su cui si trovavano. Dopo un volo senza scampo sono finiti in un canalone. I soccorritori del Peloton d’haute montagne della Gendarmerie, partiti in tutta fretta da Chamonix a notte fonda - facendo riaprire la funivia - li hanno trovati domenica, ormai senza vita.
L’autorità giudiziaria ha dato il nullaosta per il rimpatrio dei corpi delle vittime: Dario Tomelini, 32 anni, residente a Challand-Saint-Anselme (provincia di Aosta), Antonio Carnino, 36 anni di San Mauro, Stefano Tabacco, 37 anni, e Gianluca Molino, 43, entrambi di Torino. Le salme sono ancora a Chamonix, ma già oggi, probabilmente, torneranno in Italia dove, nei prossimi giorni, probabilmente giovedì o venerdì, si svolgeranno i funerali. Il corpo di Dario Tomelini sarà cremato e le ceneri sparse sui monti. In Francia proseguono le indagini, ma il capitano del Peloton di Haute Montagne della Gendarmerie di Chamonix, Benoit Tonanny, resta prudente. «Potremmo non sapere mai quali sono state le cause dell’incidente che ha coinvolto i quattro scalatori italiani, e l’abbiamo anche detto ai loro familiari».
Quasi impossibile ricostruire la meccanica di una tragedia avvenuta in alta montagna e, per di più, in piena notte. «È molto difficile stabilire la dinamica - prosegue Tonanny - Potrebbe essersi verificata una caduta accidentale. Uno dei quattro, scivolando, potrebbe aver trascinato con sé anche gli altri tre. L’unica certezza è che non è stata una valanga». Le ipotesi sono molte. E si sta analizzando ogni frammento di quella notte, a cominciare dal dialogo concitato tra i quattro alpinisti e i due dipendenti della funivia. «Non abbiamo capito quanto cidicevano», hanno detto i due che si sono alternati sulla passerella che collega le guglie granitiche della montagna. E’ probabile che gli alpinisti in difficoltà abbiano provato a spiegare quanto stava accadendo. L’unica certezza è che l’incidente è avvenuto prima che potessero assicurarsi al pendio.
Erano legati, ma non devono aver attrezzato la loro sosta, oppure quando uno di loro è scivolato trascinando anche gli altri, l’ancoraggio ha ceduto. Poteva essere un chiodo da ghiaccio, una sorta di grande vite, oppure due o tre piccozze sprofondate. Qualcosa stava accadendo, altrimenti i quattro non avrebbero cercatodi spiegare, avrebbero soltanto chiesto aiuto. Fra le ipotesi anche quella di un malore o una situazione di estrema stanchezza per uno o più degli alpinisti. Di qui la difficoltà di preparare un ancoraggio. Nessun elemento utile alle indagini è finora emerso nemmeno dall’esame dell’attrezzatura usate dagli alpinisti e trovate vicino ai loro corpi o nel luogo da dove sono caduti: corda, piccozze e imbragature.
Fonte: La Stampa
di Andrea Greco
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