Industria dello sci in crescita, merito della neve
20 Gennaio 2009
La neve è stata il loro Barack Obama, il ritorno della speranza. Quando a novembre, in coincidenza con l’elezione del presidente americano, sono arrivate nevicate che non si vedevano da trent’anni
, per l’industria dello sci è tornato il sorriso. Un anno fa, nel dicembre 2007, c’erano giorni che si poteva stare in maniche di camicia, la neve veniva sparata in mezzo ai campi brulli, i fatturati scendevano. Adesso, dal fatidico Ponte dell’Immacolata in poi, è tutto un guardare allibiti i livelli della neve e un’inversione di tendenza che scalda il cuore. Nel distretto di Montebelluna, che produce quattro quinti di scarponi, piumini, sci, doposci del mondo è tutto un andare e venire di camion. I negozi hanno finito le scorte e i magazzini sono vuoti. Tornano gli ordini di prodotti che da anni erano abbastanza fermi e avevano costretto le aziende ad una ristrutturazione. Ma non solo. La percezione della crisi economica, sembra avere conseguenze durature: ha fatto tornare la montagna come vacanza invernale preferita. E i dati italiani sono lusinghieri, tanto più in questo periodo dove sono pochi i settori che possono vantare segni più sui consumi. Le vendite di skipass stagionali sono salite del 25%, quelle dei giornalieri del 1718%, i comprensori sciistici tirano il fiato e fanno a gara per promuoversi con nuove offerte. Il modello è già sperimentato: si attraggono stranieri d’inverno come Rimini li calamita d’estate. L’uno tira l’altro in una sorta di catena della salvezza da una congiuntura generale che non vede la fine del tunnel. Anche perché lo sci, che non ha catene di negozi dedicati per il fatto che si vende cinque mesi l’anno, si tira dietro tutti gli altri consumi di prodotti per lo sport. "L’inverno 2007 per noi è stata una vera tortura", dice Alberto Zanatta, direttore generale del gruppo Tecnica, primo al mondo nell’industria delle neve che, con un fatturato previsto di 385 milioni per l’anno appena terminato, è tornato a vedere un aumento delle vendite. "Adesso cerchiamo di non perdere la testa, ma le premesse per un buon andamento della stagione ci sono tutte. Si tratterà di vedere nelle prossime settimane che cosa faranno i negozi e come andrà la stagione nelle fiere. E molto dipenderà dal mercato americano".
Già perché per l’industria dello sport, l’America resta sempre l’America (insieme al Canada). Un faro del consumo e uno dei mercati principali di sbocco dei prodotti, che per Tecnica vale più di un terzo delle vendite: negli Usa la quota di mercato del gruppo, con i suoi molteplici marchi, è del 40%. "Per il mercato americano abbiamo fatto finora stime prudenziali di un taglio del 10% degli ordini — dice ancora Zanatta — Nella parte Ovest, con il Colorado e le Rocky Mountains la stagione va bene, la crisi non è così drammatica come a Est dove difficilmente tutti i licenziati dei colossi finanziari avranno voglia e soldi da spendere per abbigliamento sportivo e sci. Ma gli Stati Uniti sono così: si fermano velocemente e ripartono velocemente. Siamo qui ad aspettare e vedere che cosa succederà".
Nel frattempo, come in tutto il distretto, si organizza, si ristruttura, e si sfruttano nicchie di mercato.
Alla Dal Bello di Asolo, dove si producono scarponi da sci e snowboard venduti in mezzo mondo, non si sbilanciano: "Il mercato non cresce, crescono alcuni marchi a discapito di altri, ma il fatturato aumenta perché si vendono prodotti di maggiore qualità e quindi con un prezzo medio più alto". Alessandro Marcolin, proprietario della Crispi di Masoer, che occupa una nicchia iperspecializzata di scarponi per telemark e scialpinismo, sintetizza: "Quest’anno, che è andata male, faccio il 57% in più. Ma vedo che i negozi continuano a ordinare. Per l’anno prossimo prevedo che sentiremo di più la recessione. Non è però la catastrofe e un rallentamento è sopportabile. Guardiamo avanti perché il nostro motto è stato sempre questo: guardare avanti è quello che riesce meglio alla nostra impresa. Tireremo la cinghia. Basta che il governo non tiri l’altra metà sennò ci strangola".
Del resto il distretto è da sempre una sorta di laboratorio. Nato come cuore della produzione per la neve, negli anni, a forza di crisi superate a colpi di dure ristrutturazioni, ha sventagliato le produzioni in tutta la gamma degli articoli sportivi: soprattutto scarpe, abbigliamento e accessori, "Ormai su cento scarpe vendute come sportive solo il 30% viene usata effettivamente per fare sport, il resto sono indossate per sentirsi sportivi", dice Aldo Durante, che da anni segue le sorti del distretto e ne rappresenta una memoria indispensabile, dall’alto del suo Museo dello scarpone piazzato sulle colline del Montello.
La delocalizzazione della produzione è ormai un assunto, come testimonia il via vai nei piazzali della Tecnica di camion con scritte in ungherese. Ma qui è rimasta la logistica, la commercializzazione, la ricerca e le piccole produzioni che servono alle sperimentazioni o per sfornare scarponi di alta gamma. Su 500 dipendenti italiani, la Tecnica, ne ha quasi la metà che si occupano di ricerca e design. In particolare per gli scarponi da sci: un prodotto che ingloba in media 13 brevetti e che per essere disegnato ex novo, cosa che avviene circa ogni quattro anni, richiede investimenti che toccano il milione di euro.
Dal distretto alcune delle multinazionali straniere, che venivano a vedere qui come si fa a produrre gli scarponi, se ne sono andate. La Salomon ha chiuso a fine dicembre e ha riportato tutta la produzione europea in Francia, anche per gli aiuti offerti dal governo a chi non delocalizza. Nei momenti d’oro aveva 200 persone. La LangeRossignol è rimasta.
Ma questa crisi cambierà questo mondo? "Tutte le crisi sono epocali, quale non lo è?", dice Durante che dall’alto della memoria storica ricorda che ad inizio anni Ottanta furono licenziati 2000 dipendenti di un colpo per una delle tante crisi. "Oggi si licenzia di meno, ma è più difficile che si trovi un posto nel settore se lo si perde. La situazione è meno facile: bisogna anche tenere conto che la classe imprenditoriale che ha fatto il distretto non ha più 30 anni".
Nessuno, però, vede nel futuro un deserto produttivo. Sarà perché l’anno prossimo è il "quarantennale" dei Moon Boot, i doposci oggi ancora di moda, che nel 1970 segnarono, con il loro successo, la rinascita del distretto. Sarà per quel faccione sorridente di un adolescente, che campeggia, oggi, su giganteschi cartelli disseminati in tutta la provincia trevigiana che invoca: "Dopo le scuole medie iscriviti agli istituti tecnici è qui il tuo futuro e ce ne faremo carico". Firmato: gli industriali di Treviso.
fonte: Repubblica.it - di Alessandra Carini
di Andrea Greco
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