La reputazione dello sci è a zero: dove sbagliamo?
Le code di Cervinia e quel che è successo ad Ischgl, nonché l’elevata diffusione del Covid nelle valli delle province di TN e BZ nella prima ondata hanno creato nell’immaginario popolare il binomio sci=contagi. Ma la pandemia ha solo acuito un fenomeno che era sotto traccia da tempo, mantenendo lo sci in prima pagina (ahi noi) per molti giorni, e non per le vittorie in Coppa del Mondo. Lo sci, infatti, soffre di una immagine brutta, non da ora. Ma perché? Sono diversi anni, con il climate change sempre più evidente, che si levano gli strepiti. E I cannoniiiihhh, e lo sci spariraahhhhh, e i disboscamentiiiii…, e andiamo tutti a ciaspolareeee... ! E vabbeh. L’ala più dura degli ambientalisti, per forza, non ha mai visto di buon occhio lo sci da discesa. Normale. Ma bene o male si ‘conviveva’. Adesso, pandemia o non pandemia, è troppo. E se ci aggiungiamo la mentalità italica che porta a dividersi in fazioni e schieramenti perfino fra ‘fratelli’ - sci alpinisti e camminatori contro sciatori - il danno diventa irreparabile. La rissa sui social è all’ordine del giorno. Tanti praticanti di attività verniciate di verde si sentono investiti di una superiorità morale ed etica, depositari di una certa idea di montagna vera. Quando non capiscono che, mai come adesso, siamo nella stessa barca. E invece le tifoserie si dividono, si schierano sempre più. Escursionisti e fondisti contro sciatori. Sci alpinisti contro guide (inciso: discutibile l’idea della Valle d’Aosta di rendere obbligatoria guida o maestro per lo sci alpinismo). E quelli che non sanno distinguere il Monte Bianco dal Vesuvio (praticamente il 98%) contro gli sciatori. Tutti contro tutti. Ora non sono più tifoserie: sono vere e proprie fazioni pronte allo scontro frontale. Gli haters dello ‘sci normale’, quello sci da evasori caciaroni (tanto sono ricchi, che vuoi che sia una sciata…), sono comparsi in massa, baldanzosi e agguerriti, a cresta alta. Non va bene. Non va proprio bene così. La pazienza degli appassionati e degli operatori (2 milioni, 3?, 1? Che volete che sia?) è allo stremo. E allora dobbiamo difenderci (vedi al proposito anche l’intervento di Francesco Lvati qui).
Ma prima chiediamoci: 1) Quali sono le ragioni, a monte, di questa situazione? Dove abbiamo sbagliato? 2) Come rimediare?
Ecco, a ruota libera, di pancia, le mie personali risposte:
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Le ragioni vanno cercate indietro nel tempo. Non siamo mai riusciti a comunicare la bellezza, il valore ‘morale’ di questo sport e del suo enorme indotto. Lo sci è percepito come una cosa effimera, di cui si può fare a meno e destinata a chi se oo può permettere. Che sia un'industria di immenso valore economico, non stiamo neanche a ricordarlo tanto è ovvio. Ma non è qui il punto. Per tanti, invece, lo sci è una passione, per la quale si fanno tante rinunce ad altri svaghi, alzatacce, ore di macchina, panini nello zaino per risparmiare, materiali usati low cost. C’è anche tanta gente modesta che scia. Io affermo quindi non “ solo 2 milioni” lo praticano, ma “ben 2 milioni”. Non è un vezzo, un giochetto per pochi, visto che dove si può e appena si può, ovunque c’è un pendio con la neve, nel mondo, c’è qualcuno che ci vuole sciare sopra. Non sarà un divertimento così scemo, scivolare giù per i monti con 2 assi… Come non sarà così stupido il calcio se è lo sport globale amato da miliardi di persone… Forse non si è comunicato abbastanza l’imponenza del fenomeno sci nel mondo.
Altro aspetto poco e mal comunicato è il ‘dietro le quinte’: tutto quel che c’è ‘dietro una sciata’. Capisco che non è facile destare l’interesse su temi perlopiù tecnici, ma bisogna spiegare che dietro c’è tanta fatica, tanta competenza, tanta roba si direbbe adesso. Non avrei invece detto: “innevare le piste costerà 100 milioni per niente se non apriremo” ma avrei provato a spiegare che cosa c’è in termini di valori umani e tecnici dietro e intorno l’innevamento e la manutenzione delle piste, altro che 100 milioni, pensiamo al sapere ingegneristico e tecnico, alla dedizione e alla perizia di operatori, imprenditori, tecnici, operai...
Altro errore di comunicazione, in questo caso turistica e delle destinazioni: in questi anni si è teso a enfatizzare gli aspetti ludici e adrenalinici dello sci turistico. Come se fosse più un divertimento che uno sport. Forse sarebbe stato bene sottolineare l’importanza degli aspetti squisitamente tecnici (la tecnica dello sci è difficilissima, e per questo molto affascinante da spiegare e da apprendere), culturali (lo sci è paesaggio, contemplazione, natura, viaggio di scoperta). Troppo peso è stato dato anche alla componente di ‘movida’ del dopo sci, pur se in Italia meno che all’estero.
Però c’è un particolare: se lo sci è stato associato alla sfera del fun e meno allo sport nella natura, ciò si deve anche al comportamento di molti di noi sciatori. Non sempre educato nei confronti del prossimo, non sempre rispettoso della montagna e dei suoi pericoli, a volte siamo sguaiati e spericolati. In questo senso, negli ultimi giorni d marzo prima della grande chiusura, lo sci non ne è uscito bene (vedi mio articolo dell’epoca): si sapeva ancora poco, ma in rifugi e discoteche tutto è continuato come se nulla fosse fino al lock down definitivo del famoso 8 marzo. La ‘coda di Cervinia’ di questo autunno così come quella di Verbier, invece, le assolvo in parte, perché si è trattato di episodi sfortunati e di breve durata. Comunque andavano evitati ad ogni costo: purtroppo si sono scatenati gli haters, e il danno d’immagine è stato forte.
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Che fare allora? Ben vengano le manifestazioni e le iniziative spontanee come i video “Per noi la montagna è vita”, meritorie, quasi eroiche, ma non basta. Qui l’azione deve essere istituzionale e culturale, capillare e profonda, e deve partire anche da FISI ed enti locali delle terre di montagna. Già, cultura: questa cosa orribilmente dimenticata e offesa durante la pandemia, con il nonsenso dei teatri e dei musei chiusi. Comuni, province e regioni di montagna, tutti, grandi e piccoli. Associazioni culturali di ogni genere impegnate sulla montagna o con sede in montagna, federazioni sportive, associazioni del tempo libero, sci club, scuole, università, associazioni di categorie economiche (tutte), operatori del turismo, CAI, collegi nazionali e locali di Guide e Maestri. Uniti. Tutti gli attori coinvolti direttamente e indirettamente nella montagna dovrebbero unirsi in un colossale sforzo di comunicazione culturale sui valori sociali e ambientali (e quindi economici) della montagna. Quella montagna che solo se viva, vitale e vissuta salva la pianura dai disastri idrogeologici e ‘rende’, producendo un PIL di civiltà, benessere, ambiente. Ci vuole umiltà e consapevolezza di essere nella stessa barca. Insomma, bisogna impegnarsi tutti a stipulare una sacra alleanza fra le componenti della montagna. Lo sci da discesa deve avvicinare, ascoltare, capire quelli dell’altra montagna, non essere contro.
Più nello specifico, il nostro mondo dello sci da discesa, cosa potrebbe e dovrebbe fare? Ovviamente, non ripetere gli errori del passato recente, come quelli scritti sopra nel punto 1. Lo sforzo deve essere pluriennale, colossale, di comunicazione. Il primo modello che questa situazione ha reso drammaticamente obsoleto è quello del cosiddetto apres ski. Diciamo che una ridimensionata ai rifugi-discoteca ci può stare bene (pur pochi in Italia). Nulla contro i rifugi allegri e animati, ci mancherebbe, ma in generale, vorrei più pacatezza e sobrietà nell’interpretazione del turismo invernale. Sono contro ogni forma di repressione, ma una stigmatizzazione di certi comportamenti sulle piste e fuori (troppo sguaiati, troppo ‘ludici’) ci sta. Poi: curare meglio e di più servizi e infrastrutture di contorno allo sci: parcheggi, accessibilità alle stazioni, servizi per gli sciatori, trasporti. Più ordine, meno casino. Ridurre nel futuro al massimo l’impatto del traffico automobilistico, non dico creando stazioni completamente car free, ma almeno ‘nascondendo’ le auto, sarebbe un obiettivo da tener sempre presente e porterebbe grandi benefici anche di immagine al nostro mondo.
E poi? Non so più che pesci pigliare, confesso di essere un po’ demoralizzato…Non è facile cambiare le cose, lo capisco… e io proprio non ho ricette, sto andando di sentimento… Per me la montagna, unita, ce la può fare, perché la sua gente è speciale. Ha una marcia in più. Io non sono di montagna, si badi bene, ma per me la gente di montagna è superiore.
Ora scatenatevi voi con le proposte!
Fabio Bottonelli
FOTO:in questi giorni al Corno alle Scale (si ringrazia cornoallescale.net) e si lavora ugualmente sulle piste, mentre nel weekend sono stati moltissimi a salire con ciaspole e sci alpinismo