Come ne esce lo sci in tempo di pandemia: benino, ma non benissimo.
Editoriale speciale
Come ne esce lo sci da questi giorni di emergenza? Benino, ma non benissimo. Perché a fronte di scelte lungimiranti e corrette (esempio, la chiusura totale anticipata del Dolomiti Superski e di tutto il Trentino Alto Adige), ci sono state le scivolate di qualche operatore e i comportamenti superficiali se non incoscienti di una parte degli appassionati. Mi riferisco allo sci turistico e non al settore agonistico della FIS (che pure ha fatto i suoi bei pasticci), dove almeno abbiamo avuto un sorriso dalla conquista della Coppa del Mondo di sci con la Federica Brignone, e poi con Origone (velocità) e Moioli (snowboard). Sembra già passato un sacco di tempo e invece sono stati solo pochi giorni, frenetici e drammatici. Quando non era ancora apparsa chiara ai più la gravità dell’epidemia, io stesso solo il 27 febbraio su queste colonne scrivevo che il nostro amato sport sembrava un rifugio, l’unico rifugio, l’ultimo baluardo di normalità. Una sana e pulita normalità. E che non c’era niente di male ad andare a sciare con le dovute precauzioni. Che c’è di più sicuro che scendere in pista? All’aria, a decine di metri dagli altri? Certo, impianti e rifugi andavano usati con attenzione. Poi tutto è precipitato ‘a valanga’ (e scusate il gioco di parole). Ricordate? Le prime disdette, la disinfezione degli impianti coperti costretti a ritmo ridotto, le prime voci di chiusura delle stazioni, poi man mano l’ufficialità di una serrata dopo l’altra, di alberghi e impianti, e di intere regioni: alcune di queste decisioni sono state molto etiche e tempestive, altre suonavano un po’ costrette, quasi a malincuore, se non ‘incerte’. E poi sipario. Perché se anche fosse stato ‘sicuro’ il clima generale di angoscia e tristezza rendeva lo sci un qualcosa di fuori posto: lo ammetto, è successo anche a me. In appena 2 o 3 giorni abbiamo capito che ci sono cose più importanti a cui pensare che non lo sci e il turismo. Però pur nell’ansia di questi giorni convulsi, a me venivano in mente molte cose da dire. Ma mi sono astenuto: si parla anche troppo sui social, sui siti, in TV e radio. Ora, dopo la clausura antivirus imposta dal ‘solito’ DPCM serale, cerco di mettere in fila qualcuna di queste considerazioni, più strettamente legate al nostro sport. Anche perché poi ci sarà ben una fine di questa pandemia; ci sarà ben una rinascita, un nuovo inizio dopo questo incubo (attenzione: non a breve; farei la firma se si potesse riaprire la stagione serenamente già a Natale 2020, perchè l’estate la do già per persa, e gli strascichi psicosociali ed economici non oso neanche pensare a cosa porteranno): dunque, da giornalista di turismo e sci, non mi sento certo in colpa a scrivere del futuro del mio e nostro mondo e spero che nemmeno i leoni da tastiera mi aggrediranno. Se lo faranno, pazienza. Mi è già successo in questi giorni, quando ho osato commentare qualcosa su facebook riguardo alle passeggiate, con gente che mi ha bannato o mandato a quel paese, auspicando l’arresto per chi esce di casa (m…a, quanti forcaioli e delatori ci sono in Italia!).
Allora: la situazione era, è e sarà molto complicata, se non preapocalittica, e si possono perfino configurare scenari da film di fantascienza, fra curve esponenziali, stime, modelli, pareri del virologo di turno: come ben sappiamo, i nervi di tutti sono a fior di pelle. Ma lasciatemelo dire: ora vedo odio, acredine, o invidia? verso chi semplicemente va a fare una passeggiata solitaria in un parco deserto o in una stradina di campagna, come pochi giorni fa vedevo la stessa acredine contro quelli che hanno sciato, quando non era ancora né vietato né sconsigliato (molti italiani, evidentemente sia di destra che di sinistra sono pericolosamente compiaciuti se il clima si fa più sempre dittatoriale con forti restrizioni alla libertà individuale e degli stessi concetti della Costituzione… mah). La cosa non mi è piaciuta, anzi, mi fa più paura della malattia: sono prodromi di isteria collettiva. Hanno cominciato a uscire le foto, più o meno taroccate, di code in certe funivie: e giù improperi. Poi c’è stato l’infortunio di una stazione sciistica appenninica per una infelice pubblicità in favore degli studenti a casa da scuola, che ha avuto l’onore di essere citata perfino da un Ministro (pubblicità peraltro mai uscita, era solo una bozza precedente ai giorni di vera emergenza conclamata, come ufficialmente smentito: io credo alla buona fede dell’Abetone)… Sono il primo a dire che era il momento di tutto fuorchè lo sci: io che sono un superappassionato ho sciato l’ultima volta il 9 febbraio come se mi sentissi qualcosa di sinistro in arrivo. E concordo che in una situazione così drammatica come a fine febbraio andare a sciare non sarebbe stato ‘etico’. In seguito è uscito poi il chiarimento, suffragato anche dal CAI, che nemmeno più le escursioni con le ciaspole o con gli sci da alpinismo erano opportune, anche perché in caso di infortuni si sarebbero distolti uomini e risorse preziosi per le urgenze legate al virus: e su questo sono totalmente d’accordo. Come viene sconsigliata la nautica da diporto e qualsiasi attività sportiva sopra le righe. Io però non sono invece d’accordo sul vietare una facile passeggiata sulla neve in piano, evitando logicamente assembramenti o gruppetti. Tanto che a Courmayeur hanno chiuso la Val Ferret per le passeggiate, oltre che ‘vietato’ ai proprietari di seconde case di soggiornare. Poi sono intervenuti i delatori delle presunte code di italiani a Chamonix o al Diavolezza (tutte notizie che andrebbero verificate e che potrebbero essere state ingigantite), dove a oggi gli impianti erano aperti. Ok, se deve passare il messaggio di “stare a casa” condivido in pieno che questo deve essere forte e chiaro e non dare adito a troppi distinguo, ma ritengo l’atteggiamento di molti italiani troppo feroce nei confronti di chi ama lo sport all’aria aperta. Fintanto che non crei rischi a te stesso e ad eventuali soccorritori, che male c’è? Quindi: no sci alpinismo, no ciaspole in alta quota o neve fresca, sono d’accordo, ma sì allo sci alpinismo su una pista da sci facile ormai chiusa, si a una passeggiata sulla neve in percorso ufficiale e sicuro, sì a un giro in bici su strade semideserte… ovviamente evitando i famosi assembramenti. Insomma, attività light sì, attività sotto sforzo o estrema no. Almeno secondo me. Il fatto che poi oggi 14 marzo si scii normalmente in Francia, non va assolutamente bene (anche se con il senno di poi è facile dirlo). Ma di qui a vietare di uscire per una passeggiata… Bene, lo sci è stato secondo vittima di questo clima assurdo e in ultima analisi ingiustamente additato come attività da incoscienti. Non mi è piaciuto, questo.
Ci sono problemi più importanti dello sci, lo ripeto, ma noi ci occupiamo di sci, quindi dico la mia su questo: mi aggiunge ancora più malinconia al momento pensare che il mio mondo sia stato preso dall’opinione pubblica alla stregua della più becera movida dei giorni scorsi. Va beh… dai. Finisco questo sfogo. Non mi faccio prendere dalla retorica stucchevole del “tuttoandrabene”. Dico semplicemente che ci riaggiorniamo presto. Torneremo a scrivere di sci, se non altro per sognare, raccontando di recenti viaggi fra piste e vallate, in attesa serena della prossima stagione.
Fabio Bottonelli - skiwriter